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CRITICA INERENTE LE OPERE DI ROBERTA SERENARI

muse terzo millennio

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Titolo: MUSE DEL TERZO MILLENNIO
Autore: Silvia Arfelli
Apparso su: Catalogo mostra
del 1 Febbraio 2008


Roberta Serenari
Ha perfezionato la propria splendida tecnica pittorica in una concezione totalizzante e simbolica del mondo dell’infanzia, sviluppata in assoluta relazione con le suggestioni del sogno e della fiaba.
Sono piccole Muse queste bambine metafisiche vestite con l’abitino della festa e le scarpe di vernice; la pittrice le rappresenta in un dualismo dubbioso, un antico arcano che non pare essere ancora giunto a soluzione: spesso isolate in interni neutri, con pochi riferimenti oggettivi come la tazza della colazione o il vaso delle caramelle (“High society”, “Tentazioni”), oppure circondate da una miriade di oggetti (“La domatrice”, “Equilibrismi”); appare evidente che il senso d’inquietudine che trasmettono è riconducibile a dinamiche esclusive che stabiliscono precise relazioni tra le figure ed il loro piccolo, grande mondo. D’altronde, scriveva De Chirico, “vivere nel mondo come in un immenso museo di stranezze, pieno di giocattoli curiosi e variopinti e cangianti d’aspetto, che talvolta, come dei bambini piccoli, noi rompiamo per vedere come sono fatti dentro…”; non è casuale che questa annotazione sia riferibile anche alla metafisica tutta al femminile sviluppata dalla Serenari in questa sua coinvolgente poetica. Viene il sospetto che queste bambine mute e perse dietro le traiettorie dei loro giochi infantili non siano che un alter ego dei manichini dechirichiani: d’altronde non sono realizzate sulla falsa riga dei manichini di De Chirico le sagome che compaiono nelle magiche atmosfere di almeno due dipinti della Serenari quali “Invito” e “La domatrice”?E’ un gioco di rimandi accattivante ed esaltante quello che l’artista ha avviato col padre della metafisica, un coinvolgente dedalo di specchi e di scatole cinesi in cui nulla si assomiglia se non nel significato, dove ciò che si vede è in realtà più nascosto del reale, e la costruzione figurativa altro non è che una rappresentazione immaginifica rivolta all’intelligenza che ha qualcosa del Dio e dell’acrobata, dell’eroe e della bestia” (G.De Chirico) Forse è per questo che Roberta Serenari insiste sul tema del doppio:la bambola, la maschera, il burattino, qualcosa che nella tradizione italiana di Collodi come nell’affabulazione nordica di Andersen, potrebbe prendere vita da un momento all’altro, rompere gli schemi, spostare i parametri logici. Un accenno citazionista, intellettuale e cervellotico, potrebbe essere ravvisato nella Serenari nel minuzioso virtuosismo dei panneggi ripiegati di un drappo a righe (“Colazione con papà”) o nelle esasperanti prospettive di pavimenti che si ripetono (“Caro papà”, “Favola interrotta”) simmetricamente, mattonella dopo mattonella, con le stesse insistenti nostalgie degli archi delle misteriose costruzioni dechirichiane. Un dato di fatto per una artista che, a sua volta, guarda al quattrocento con un fare di assoluto disincanto: ce lo ricorda l’uovo, forma mitica ed autoreferenziale che Piero della Francesca introdusse nei suoi capolavori, nucleo e sorgente della vita, che le bambine della Serenari proteggono nel palmo della mano, con un’attenzione quasi religiosa; simboleggia la vita che hanno avuto e che, a loro volta, dovranno donare, in un passaggio ininterrotto, in cui la forma perfetta continuerà a perpetuarsi eternamente.
Tra le torte, le caramelle, i pani di zucchero, diventa evidente che il substrato cui l’artista attinge è anche quello del cenacolo leonardesco: il trittico “Piccola cena” diventa l’equivalente di gesti più grandi ripetuti con la stessa semplicità e con l’innocenza pura dell’infanzia. Ma non è il confronto ad interessare quanto la progettazione del dipinto, la sua costruzione teorica, maturata per visioni e rivelazioni, attraverso una sorta di manierismo ordinato e sottile, in una realizzazione che è tutta spirituale, fatta di impercettibili e preziosi prelievi iconografici fortemente connessi alla sacralità del tema.
La pittrice ha il pregio di rimescolare le carte giocando anche quella di un surrealismo beffardo, ludico, che ha un effetto dirompente ed intrigante nell’atmosfera che circonda le sue bambine. Un connubio ideale in cui far comparire cavalli bianchi ed arlecchini, giocolieri ed equilibristi, carillon muti e sedie precarie, effigi maschili come la cravatta e la bombetta, riferimenti ad una virilità sconosciuta ed accennata per accessori. E’ in questa ricchezza di spunti e di riferimenti che possono mimetizzarsi i nastri slacciati, le scatole aperte, diluirsi fra tanti particolari anche i cocci delle tazze rotte, in cui si percepisce sottilmente un misto di paura e di attesa, di dramma appena sfiorato, di sogni ancora interi da rinviare ad un prossimo futuro.
Scenari che travalicano le passioni antiche per giungere agli amori più recenti, come Balthus;
Roberta Serenari gli dedica un omaggio di sensualità pudica, di fattezze acerbe che oscillano tra bambole e tacchi a spillo, in cui il dipinto del Maestro “Nudo con gatto”, come un quadro nel quadro, è posto sul tavolo dello sfondo, a proporre in lontananza la sua Musa, immagini che, ancora una volta, travalicano il tempo, giungono all’attualità del terzo millennio ma continueranno a viaggiare, ne siamo sicuri, al di là di ogni epoca, finchè il mondo sarà abitato anche dall’ultimo degli afflati umani.

 

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