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CRITICA INERENTE LE OPERE DI ROBERTA SERENARI

parigi mostra italiani

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Titolo: LES ITALIENS
Autore: Edito da "La Maya Desnuda" - testo di Silvia Arfelli
Apparso su: Catalogo della Mostra - Parigi 2011
del 1 Luglio 2011

 

VVenti artisti italiani e la loro pittura, accomunata da una scelta di campo che, solo
fino a poco tempo fa, poteva essere definita rivoluzionaria, come quella della figurazione.
Tempo fa appunto, perchè oramai, grazie al lavoro di alcuni critici illuminati,
ma soprattutto grazie all’impegno costante e perenne degli artisti, è stato sdoganato
il genere figurativo tanto da poterlo proporre oggi in una esposizione dal carattere
europeo, come il grande patrimonio assimilato dall’arte del passato e celato nel dna
di ogni artista (anche il più astratto), la maggiore eredità italiana e forse l’unico linguaggio
davvero unificante che accomuni l’Italia da nord a sud, in questo centocinquantesimo
dell’Unità nazionale. In una ricorrenza storica tanto particolare, in cui
l’Unità nazionale è diventata oggetto e pretesto per le disquisizioni più disparate, si
è resa necessaria una riflessione oggettiva sulle eccellenze davvero caratterizzanti
della storia d’Italia: la più evidente ed eccezionalmente unica, è l’arte.
Abbiamo scelto la pittura come mezzo e strumento per avviare un’indagine a tutto
tondo, nel nostro Paese, su quanto la pittura figurativa (da quella di autenticamatrice
classica a quella embrionale, celata e appena riconoscibile), le conquiste tecniche e
umanistiche del Rinascimento, le grandi illusioni seicentesche, la “macchia” ottocentesca
ma anche le oggettività del ‘900, quale segno hanno lasciato, quanto è rimasto
oggi nell’attività dei pittori italiani? Per farlo, abbiamo cercato conforto in un
breve ma fondamentale saggio che Roberto Longhi scrisse nel 1914 e pubblicò nel
1961, intitolato “Brevema veridica storia della pittura italiana”, che rivestì una grande
importanza nel panorama storico-critico dell’arte europea per le nuove idee che vi si
trovavano pubblicate e che influenzarono tutta la critica successiva.
Il merito più importante di questo piccolo trattato fu quello di tracciare, dai mosaici
dell’arte ravennate a Cézanne, nuovi percorsi di lettura attraverso alcuni grandi registri
stilistici, legati essenzialmente alla prospettiva, al linearismo, alla plasticità ed
ai rispettivi ibridi, che permettevano di unire la “linea floreale” da SimoneMartini all’arte
giapponese, la plasticità di Giotto, Masaccio e Michelangelo, il colorismo dei
mosaici di San Vitale e dei pittori veneziani. Memori di questa grande lezione del
Longhi, che troppo spesso gli addetti ai lavori dimenticano, abbiamo scelto i nostri
artisti, consapevoli del fatto che le loro opere nascono dal sentimento, dall’esperienza,
dall’osservazione, dalla contraddizione e dal conflitto ma che sono comunque riconducibili
a quella codificazione tecnico-estetica che la critica non può esimersi dall’esercitare.
Abbiamo cominciato dagli alfabeti primordiali della bolognese Maddalena Barletta,
che ha trasformato i segni, le scritture, le incisioni dimenticate di antiche comunicazioni
rupestri in un suo particolare simbolismo espressivo. La sua ricerca di frammenti,
di antiche carte, di tracce anonime strappate dal tempo e ricomposte
nell’opera, conservano tutto il fascino di un lungo percorso, che va dai papiri srotolati
ai graffiti, aiwritersmetropolitani. Sono piccoli frammenti di storie, lessici e scritture
che raccontano soprattutto ciò che non c’è e che non si vede. L’oro e la terra si
avvicinano in silenzio, svelando la matrice classica e arcaica di un artista che ha saputo
tradurre nella contemporaneità segmenti di una tradizione dal sapore antico.
Una corrispondenza alle opere di Maddalena Barletta la ritroviamo in quelle di Myriam
Cappelletti, artista pratese, in cui il segno e la scrittura esercitano lo stesso tipo
di attrazione, ma in cui la parola chiave è “filo”. Il suo è un “alfabeto tessile” in cui
la tela diventa un grande palcoscenico nel quale vanno in scena storia minime, ricordi
d’infanzia, piccoli simboli in legno, ferro o terracotta cuciti con perizia ad alimentare
quotidianamente i sogni, le inquietudini, le conquiste. E’ un filo che lega e
unisce, quello di Myriam Cappelletti, il filo dei ricordi e dei pensieri cui restano ininseriretimamente legati i vestitini della bambola, le maschere di un microcosmo onirico e
immaginario che alimenta se stesso di una linfa vitale, tutta interiore.
Anatomie spezzate che sembrano riproporre l’esoterico simbolismo di antichi reperti,
negli arditi tagli di preponderante gusto grafico, e nelle inedite prospettive della giovane
romana Sara Cordovana. Le opere dell’artista guardano certamente alla pop-art,
per l’impostazione, per la tecnica e per l’immediatezza dell’espressione, ma il gigantismo
dei corpi battuti dalla pioggia, atto estremo di un processo di purificazione,
sembra proporsi in una ricerca che persegue il moto continuo della creazione, il linguaggio
originale e divinatorio, da sempre legato ad una mitologia tutta mediterranea.
E’ un’arte del silenzio, metafisica e misteriosa, quella che il veronese Giovanni Faccioli
propone nei suoi dipinti. Il senso di straniamento, i personaggi femminili che appaiono
comemagiche vestali, la ricchezza di drappeggi e di particolari e le suggestive
contrapposizioni cromatiche, arridono ad una quotidianità ricca di sogni e di sollecitazioni
oniriche. Una pittura che guarda certamente alla grande arte del passato,
come se la Metafisica ed il Ritorno all’Ordine fossero filtrati dalla lezione severa di
Piero della Francesca o di Giorgione e conditi dall’ironia tutta contemporanea di Balthus.
Ci sono i colori intensi e penetranti della sua terra nei dipinti del messinese Sebastiano
Giunta. L’artista attua soprattutto una trasfigurazione del paesaggio che sembra
corrispondere al suo desiderio di infinito, di trascendente cui si contrappongono
altri dipinti, in cui si concentrano la solitudine e le paure contemporanee, che diventano
la metafora stessa de paesaggio, spesso arido e abbandonato, un deserto dei
sentimenti e della vita che spesso accompagna la forsennata corsa di un uomo contemporaneo
che non c’è più nei dipinti dell’artista, che è fuggito alla ricerca di nuovi
mondi da abitare, da sfruttare e purtroppo, da distruggere.
I caldi colori dell’Africa, la ricerca dei significati di immagini e figure che appartengono
all’alfabeto quotidiano di popoli e civiltà spesso lontane da quella occidentale,
rappresenta il fulcro privilegiato della ricerca di Alda Giunti, artista e illustratrice
fiorentina che ha trovato un originale trat-d’union della propria arte nei simboli favolistici
di civiltà diverse. Ecco quindi che il cavallino delle fiabe sembra diventare
l’emblema dell’integrazione fra simboli figurali diversi, coniugati però nella stessa significante
ricerca di pace e di armonia.
Guarda allemorbide atmosfere di Rosai la pittura enigmatica e senza tempo di Claudio
Irmi. Nelle opere del pittore cesenate i colori ocra e sabbia vanno a definire un
paesaggio estivo che appartiene ormai ad un immaginario lontano nel tempo, con i
capanni al mare, i muri di una cabina oggettivati in una ritualità contemporanea, affondata
nella luce abbacinante e intensa del pomeriggio, che sfarina i contorni e confonde
per un attimo la visione. Irmi rappresenta le reminiscenze e le sedimentazioni
di un paesaggio conosciuto, indagato e sublimato oggi in una interpretazione archetipa
fino a trasformarlo in un paesaggio interiore, fatto di segni puliti e di geometrismi
affondati nell’azzurro carico e pacificante del cielo.
Da anni l’artista forliveseMiriaMalandri persegue un proprio progetto pittorico dedicato
al cinema. I suoi dipinti sono scene di film, fotogrammi fermati e bloccati nel
tempo per essere elaborati dall’occhio e dallo stile della pittrice, che li trasforma in
opere di forte stampo intellettualistico, siano essi nature morte, paesaggi o personaggi.
L’attenzione alla luce, il gusto per oggetti e particolari inusuali, che rischiano
di sfuggire allo spettatore nello scorrere della pellicola, diventano il fulcro della ricerca
della pittrice, che trasforma le immagini e le contestualizza in un proprio personalissimo
procedimento in cui rapporti e dinamiche del cinema e della pittura, si
fondono ambiguamente in un contesto completamente indipendente da quello della
narrazione.
Sono state giustamente definite opere che hanno uno stretto legame con la geografia
dei suoi luoghi originari quelli dell’imolese Francesca Mita, che nei paesaggi realizzati
su supporti materici e grumosi, utilizza materiali di recupero che variano dai
frammenti di lamiera agli arbusti dell’appennino bolognese che tanto ama, decontestualizzando il concetto stesso di paesaggio. Nel raffinato accostamento di toni bianchi,
oro e bruciati, l’artista sembra voler proporre una sua formula alchemica che inverta
l‘idea di logoramento e di consumo che il tempo inevitabilmente imprime,
cristallizzando reperti fra le pennellate pastose degli sfondi, imprimendogli nuovi
significati estetici e nuova linfa vitale.
Un tema soprattutto, quello femminile, coniugato nelle mille declinazioni del colore
dell’anima: il blu. E’ senz’altro questo l’incipit che muove l’affascinante produzione
pittorica dellamessinese LidiaMuscolino, che guarda alla schematica figurazione di
certa avanguardia d’inizio secolo per realizzare corpi femminili proposti in una sorta
di nudità primigenia. E’ una scelta spirituale l’originale impostazione su sfondo rotondo:
la sfera che circonda il corpo diventa il confine di un universo tutto personale,
al cui centro l’elemento femminile si propone in una catarsi simbiotica, di origine divinatoria,
in cui la linfa vitale si confonde con quella stessa dell’acqua, dell’aria, dei
nutrimenti fondamentali dell’esistenza umana.
Un artista romagnolo dal pressante timbro espressionista come Luciano Navacchia,
non poteva che affidare le proprie opere alla preminenza del colore, spesso steso a
spatola, e reso fortemente incisivo da segni di contorno, ombreggiature,macchie cromatiche
indefinite che accentuano la forza e, a volte, il gigantismo delle figure. Il solido
equilibrio dei suoi dipinti, affidato ad una controllata gestualità, è improntato ad
una intensità d’impostazione accentuata da colori violenti e contrastanti. Il senso di
drammatica solitudine delle sue figure diventa una parafrasi dell’esistenza umana di
cui Navacchia sa cogliere vibrazioni impercettibili,moti dell’animo, paure e tensioni
che attribuiscono alla sua pittura un senso di forte impatto emotivo.
E’ un universo mitico e affabulatorio quello che l’artista siciliana Anna Parisi interpreta
nei suoi dipinti dalle atmosfere rarefatte e pacificanti. Due colori assoluti e ricchi
di molteplici significati arcani, come l’azzurro e il giallo, rappresentano la sua
personale interpretazione di un mondo idealizzato e decontestualizzato in cui interiorità
ed esteriorità possano convivere in un contesto armonico e sereno. Le trasformazioni
morfologiche dell’albero della vita, gli assemblaggi di elementi diversi
tendono ad abbattere le barriere fra mondi codificati: animale e vegetale, maschile e
femminile, realtà e fiaba possono convivere in un’unica, effimera eppure indispensabile,
grande illusione.
Il forte impatto visivo che esercitano sull’osservatore le suggestive nature morte del
cesenate Ugo Pasini, dovrebbe soddisfare la mente e lo sguardo semplicemente ad
una prima occhiata, un senso della visione pacificante e virtuoso che non abbisogni
né di spiegazioni, né di approfondimenti. In realtà ad un’analisi più dettagliata,
emerge il senso di una solitudine quieta e cristallizzata in cui l’artista dispone zuppiere,
bottiglie, vasi come attori allineati in un proscenio dallo sfondo neutro e dalla
luce diretta. Un protagonismo dell’oggetto che staglia le forme, i dettagli dei decori,
la ricercatezza dei tenui colori pastello in un’elaborazione lineare, delicata ed intensa
al tempo stesso.
Una pittura d’ispirazione metafisica, cromaticamente brillante, in cui il rapporto colore/
forma definisce spazi geometrici identificabili come non-luogo. Le opere di Luca
Piccinini, forlivese d’adozione, sono la rappresentazione figurale di un’indagine interiore
che guarda al mito, al recupero di una sacralità antica che sopravvive sommersa
dalle stratificazioni e dalle scorie del quotidiano. Le forme di dechirichiana
memoria, i colori intensi, i personaggi che l’artista dispone nell’impianto compositivo
del dipinto, costituiscono un atto liberatorio nei quali putti intriganti e satiri musicanti
hanno un ruolo fondamentale, così come irrinunciabile diventa l’architettura
aperta, forse un rifugio, forse un tempio, dove si consumano le formule immutabili
dell’amore.
Il senso poetico e decontestualizzato della natura nelle opere di Tosca Placuzzi, si coniuga
con una rarefatta visione del paesaggio naturale. I dipinti della pittrice forlivese
sono come preziosi spartiti dalla trama ricca di vibrazioni cromatiche, che traggono
spunto dai numerosi riferimenti ad un ambiente naturale conosciuto ed intimamente
vissuto: le morbidezze delle colline romagnole, le suggestioni dei capanni al maresono soggetti che testimoniano la sicurezza e la fluidità di una pittura che si è perfezionata
nella solida pratica del plein aierche propone opere intense, in cui la narrazione
figurativa viene piegata al senso di una ricerca più dedita a sperimentare le
variazioni della luce e le tonalità dei colori, calibrati e degradanti l’uno nell’altro.
Un letto sfatto, ripetuto e coniugato in una inevitabile pluralità, pieghe e panneggi a
conservare solchi abbozzati di corpi scomparsi, forse fuggiti, forse ingoiati dagli ultimi
istanti del tempo. Hanno l’impatto di un drammatico palcoscenico abbandonato
i dipinti della forlivese Carla Poggi che, rifacendosi ad un’indagine sul corpo già avviata
da alcuni anni, sembra indagarne, in queste sue inconsuete iconografie, le conseguenze
estreme, le tracce lasciate come osmotica ed ossessiva eredità tra gli anfratti
di un lenzuolo che ha perso il virginale candore originario per trasformarsi inesorabilmente
in un ingrigito e moderno sudario.
Alle grevi poetiche dell’assenza che ispirano la pittura di Carla Poggi, fanno da contraltare
quelle di un altro artista forlivese, Carlo Ravaioli, che in modo più ironico e
disincantato realizza dipinti dominati da una tavolozza serena e da un segno geometrico
che definisce spaccati architettonici esclusivamente mentali. Le opere di Ravaioli,
ispirate ad un senso grafico di gusto pop, rappresentano labirintici interni
collegati da scale che non portano a nulla, in un’alternanza di spazi chiusi e aperti, a
volte lambiti dall’acqua, a volte aggettanti su strani paesaggi privi di spessore prospettico.
Il forte senso di vuoto e la pacata desolazione che emerge da queste immagini,
alimenta il dubbio della fine, di una contaminante diaspora di cui restano
armoniosi quanto inutili involucri: le pareti arancioni, le piastrelline decorate, un
cielo ancora violaceo dopo l’ultima catastrofe umana.
Un intimo colloquio tra una bambina e il suo mondo, i giocattoli come protagonisti
e simboli di un immaginario infantile che arricchisce di molteplici stimoli, così come
molteplici sono i particolari, i carillon, i burattini, le bambole che si addensano nei dipinti
edulcorati e curatissimi di Roberta Serenari. E’ un’infanzia enigmatica ed inquietante,
quella che l’artista bolognese elegge a protagonista delle sue opere, in cui
l’elegante abitino della festa o il virtuoso panneggio a righe in cui si consumano le ore
del gioco, appaiono come gli elementi fuorvianti di una quiete solo apparente, una
pausameticolosa e appagante tra le insidie che gli sfondi scuri e i colori cobalto sembrano
preannunciare, sul tempo sereno della vita.
Colori netti e decisi intervengono in più oscure partiture monocrome, ad illuminare,
con una interpretazione pop vicina al fumetto, le opere dell’artista romano TuMazu,
che da tempo vive a Parigi e che della città cattura un campionario di volti e di espressioni.
Dal malessere interiore allo protagonismo del corpo, dalla miseria fisica e materiale
allo splendore della vita. I mille aspetti del contemporaneo che interessano il
fare artistico di Tu Mazu, si celano nei panorami più consueti della grande capitale,
dai sotterranei della metropolitana allo scintillio delle passerelle alla moda. Per l’artista
l’intensità delle scelte cromatiche sembra corrispondere ad un bisogno di fisicità,
sottolineata in maniera intensa e vitale, con no stile memore della lezione d’oltreoceano,
che abbatte i labili confini fra i generi, guardando alla cartellonistica e al design.
I tagli fotografici spesso netti e perentori, lo stile iperrealista della pittura, sottolineano
il forte afflato contemporaneo nei dipinti dei forlivesi Alfonso eNicola Vaccari.
Le visioni notturne di spaccati urbani osservati dall’abitacolo dell’automobile con la
pioggia battente sul parabrezza, lemacchie di colore dei palazzi e delle case che scorrono
via, i punti luminosi dei semafori, la grafica simbologia dei segnali stradali, sono
la stessa paesaggistica da notturno metropolitano che ha ispirato la musica dei Doors
e il cinema di Tarantino. I fratelli Vaccari imprimono sulla tela le traiettorie veloci
del nostro mondo, in cui le macchine si succedono rincorrendosi lungo l’asfalto grigio
delle strade. Non vi è, in queste opere, alcuna presunzione di giudizio; i due artisti
sanno anzi cogliere quella bellezza del movimento e della velocità che fu dei
futuristi, declinate però in una pittura urbana che guarda alle possibilità tecnologiche
del terzo millennio.
Silvia Arfelli

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